in G. Appella, Il Presepe dono di Giuseppe Pirozzi, Roma, Edizioni della Cometa, 2012
Trentasei formelle, tutte di cm 33×33, dispiegate sul tondo simile a una volta celeste rovesciata, con al centro, librate verso l’alto, le braccia aperte del Bambino, il volto estatico della Madonna e quello adorante di Giuseppe, apparecchiano doni, simboli, perle di saggezza, annunci, preghiere, inviti: Non temete, oggi nella città è nato il vostro Salvatore.
Quattro cartigli come attributo degli evangelisti, tre uccellini che becchettano, quasi si apprestassero a saltare nelle mani del Bambino o dovessero essere tenuti per una funicella, una stella caduta dalla corona della Madonna per indicare la via verso Betlemme, una pagnotta che restituisce il corpo del pargoletto sprofondato nella culla e il sacrificio che verrà, tre uova ad annunciare il principio creativo e la rinascita, sette libri aperti e chiusi a personificare le virtù e le Sacre Scritture, due melegrane a trasmettere la rigenerazione della terra dopo il ritorno alla vita, un melone, una pigna, una verza ad esprimere la fertilità, vasi, orci, anfore e brocche per mirra, unguenti, olio santo, manna e vino, cinque pesci a rivelare che saremo chiamati al battesimo (le lettere della parola greca che significava “pesce” non costituivano le iniziali dell’espressione “Gesù/Cristo/di Dio/il Figlio/Salvatore”?), le rovine dei templi smantellati per costruire una Nuova Gerusalemme, la navicella che conserva l’incenso per le quotidiane preghiere da far salire al cielo e, accanto, due barrette d’oro, la conchiglia come distintivo dell’artista pellegrino che affronta il mare per sciogliere un dubbio (le cose non sono come sembrano) e da uomo di buona volontà trova la pace nella gloria di Dio.
Pirozzi ha sintetizzato nel suo presepe secoli di iconografia e lunghe meditazioni, sottraendosi al brulicante coacervo del Presepe Cuciniello, cui ogni buon napoletano è costretto a fare riferimento, senza minimamente sacrificare, sul piano del linguaggio formale, i valori della rappresentazione. L’unico spettatore è lui, presente con la sua ombra ogni volta che ruota attorno al cerchio quasi dovesse offrire quanto ha modellato, anche i doni dei re Magi.
In una veduta d’insieme, i dettagli narrativi, giustapposti come nel presepe napoletano, sono intercambiabili. Gli oggetti si posizionano per sostenere ed esaltare la triade che dall’alto socchiude gli occhi sulle nostre angosce quotidiane.
Nel silenzio, in un angolo, la colomba becchetta sulla creta la parola Speranza.